venerdì 7 dicembre 2012

La mia musica


Uno strano torpore accompagna i miei risvegli ultimamente. guardo fuori, vedo il freddo che cristallizza l'aria, il buio che persiste troppo a lungo dopo il suono della sveglia. sento le gambe molli, gli occhi che stentano a schiudersi, le spalle contorte. come i sogni, quelli che in fondo "son desideri". stamattina il torpore si è presentato puntuale, mi ha salutato con quel ghigno malefico di chi sa di averti in pugno, mi guardava orgoglioso mentre io lenta sorseggiavo il mio, poco patriottico, american coffee. Mi sentivo osservata, come se qualcuno non aspettasse altro che un mio gesto, una mossa, il volare sotto la doccia calda invece che tuffarsi nel gelo. Quel qualcuno è rimasto deluso però, il gelido mattino si è aperto ed io con lui; fulminea io, fulmineo lui. In un baleno sono fuori, le mani calde ancora per poco, gambe dure e gonfie da giorni... ma adesso pronte a partire. Non ho programmi, tempi, tabelle. Stamattina non mi alleno. Stamattina semplicemente corro, a sensazione si dice in gergo. Spengo cervello. Gps in standby. Non lo guardo né lo ascolto. Mai. Lascio che i cambi di ritmo li dettino i pensieri che mi bruciano la mente metro dopo metro. Km dopo km. I primi vanno via, nonostante il passo lento e pesante. Poi la storia cambia. Il freddo cala, le gambe prendono a girare veloci. Sette, otto, nove… mi accorgo solo adesso che le cuffie piazzate nelle orecchie sono rimaste mute. Mai premuto play. Non c'è musica stamattina, eppure mi pare di danzare. Muovermi a ritmo. E' il battito dei piedi sull'asfalto. E' il rumore del respiro freddo che spacca il torace. Fa male. Come quando da bambina la tosse secca graffiava dentro, con lacrime al seguito. Dieci, undici, dodici. Dodicimilametri, forte poi piano. Piano poi forte. Con lacrime sul finale. Come quando da bambina mi sentivo felice. 

lunedì 3 dicembre 2012

I primi, freddi....

...gelidi dieci chilometri di un inizio dicembre da paura. Fuori è ancora buio ma dopo il weekend di letargo le bimbe scalpitano per uscire, incuranti del muro di ghiaccio che è l'aria fuori. Muovo i primi passi e mi pare di tagliarla, con la mia esile e spigolosa sagoma traccio una linea dritta e sottile,  parallela alla scia bianca di un aereo che solca il cielo sopra di me. Il freddo pare dilatare tempo e spazio. Secondi come ere geologiche, centimetri di asfalto come intere autostrade mentre qualcuno mi canticchia nelle orecchie che strada facendo troverò un qualche benedetto gancio in mezzo al cielo.
Mi guardo intorno  e vedo giovani infreddoliti come ghiaccioli ad un'improbabile fermata del tram, mamme che al buio pesto trascinano corpi di figli le cui piccole anime calde sono rimaste sotto le coperte a guardare i cartoni mangiando latte e biscotti, con poco caffè perchè sono piccoli. Mi guardo intorno e vedo la città che si sveglia mentre il disgelo lentamente restringe il mio tempo ed il mio spazio, ora quasi allineati a quelli del mondo, dei tram, delle mamme coi bambini. In linea con quella percezione universale della fretta del lunedi mattina, ovunque, comunque e per chiunque è sempre tardi, c'è sempre qualcosa che hai dimenticato, le chiavidicasa, il telefono, di comprare l'acqua, ritirare la posta, chiamare l'amica che ti cerca da giorni. C'è sempre un ufficio, una scuola, un ospedale, un posto che aspetta solo e sempre te in ritardo sulla tabella di marcia. Però ci sei sempre tu che come incantata li lasci aspettare: il tuo tempo e il tuo spazio si restringono col passare dei km, non gli dai fretta,  aspetti che ti accompagnino a casa, sotto la doccia, a preparare la cartella con i libri del giorno. E'questo l'inizio che voleva il tuo corpo ormai sudato come d'agosto e la tua testa ora più concentrata e pronta a partire che mai. Ed è questo che rubi al freddo e gelido primo lunedi del mese. In fondo è come un bimbo che ruba la marmellata, a nessuno importa, il tempo là fuori è sempre lo stesso ... non si è di certo preoccupato di te che il tempo invece l'hai allungato e poi accorciato come una fisarmonica. E allora lunedi sia anche per te, te che ora non senti più freddo. Però, cazzo, è ora di andare e - che bello - hai fretta anche tu. Dieci freddi chilometri per entrare nel tempo del mondo al ritmo di corsa.

domenica 2 dicembre 2012

Immobilità in continuo movimento

Erano mesi che guardavo questa pagina con lo sguardo immobile più della sua digitale immobilità, senza la spinta di smuoverne le righe, darle movimento, anche solo cambiandone una virgola, mezza riga, un colore. Unica consolazione mi viene dal riguardarli questi mesi e capire, però, che di immobile hanno avuto ben poco; mesi di km e km macinati in ogni dove, ad ogni ora, giorno e notte, da sola o in compagnia, sorridendo o soffrendo. Mesi strapieni di me, di noi, di lavoro e famiglia. Mesi di crescita e scoperta, mesi di avventura, mesi di libri e musica, di sempre pochi viaggi, di qualche soddisfazione e tante delusioni.  Mesi di mamma e papà, di nipotini arrivati dal cielo, di matrimoni, funerali, separazioni, unioni. Mesi di maratone, dei milioni di passi battuti, di incitazioni negate e ricevute. Mesi di persone che mi sono entrate dentro senza lasciare traccia, altre che invece ci sono rimaste con mio onore, altre che fanno finta di non saperlo, altre a cui non l'ho mai detto. Mesi di persone che da me non riescono a uscire, mai. Mesi di amore che fa male da morire, anzi male da vivere. Mesi di amici perduti e altri trovati.  Mesi di cambiamento. Continuo. Vorticoso. Che ti fa venire il mal di testa. Che ti centrifuga come uno straccio nella lavatrice del sabato mattina. Che ti strizza, ti stende e ti ributta dentro, senza sosta. Mesi di vita da cui non so cosa aspettarmi, mesi di morti annunciate. Mesi di sbagli madornali a cui non so rimediare, nè so se lo saprò fare mai. Mesi di alti e bassi, picchi ed abissi, senza recupero, senza un tratto in pianura, come in quelle gare in cui ti manca il fiato e ti pare di morire...e aspetti una discesa per poter scrollare le braccia e dire forseemeglioserecuperounpo. Rallentaerespira. Prendifiatogabry. Ceancoratantasalita. Gestiscileenergie. Cisei. Ciseiquasi. Discesa. Larrivoinsalita. Ma lo vedi e lo agguanti. Hai tagliato il tuo nastro, hai rotto il silenzio, sei andata forte. C'è chi ti aspetta per abbracciarti laggiù. C'è chi aspetta che torni indietro per accompagnarlo in volata. E c'è pure chi va via senza salutare. Ma soprattutto ci sei tu, le gambe, le scarpe, la voglia di andare ovunque la vita abbia piazzato il prossimo arrivo. 


lunedì 26 dicembre 2011

Natale in ritardo

E Natale dov'è? E' già andato, passato, devo essermelo fatto sfuggire. Non l'ho visto nè sentito, è passato sornione, ha salutato a bassa voce, mi ha sfiorato ed è scappato. L'ho cercato ieri sull'asfalto, per quei pochi ma lunghi km inzuppati di pioggia e ostacolati dal vento. Non c'era. Era dal resto del mondo, tra luci, suoni, colori, cibo a sbafo e panettoni. Era a farsi osannare dal popolo, può farlo solo una volta all'anno del resto. Per me, che lo cercavo nelle mie impronte, non aveva tempo. L'ho chiamato, una, dieci, cento volte. Non sentiva. Sordo. Ci ho riprovato stamane. Ho provato a dirgli che c'ero anche io, chiusa nei miei passi, al suono dei miei battiti e nel fiume dei miei pensieri. Inaspettatamente mi ha risposto e mi ha tenuto compagnia per 17 lunghi km, duri e ostacolati dal solito vento contro che ormai mi fa da lepre e che non spira mai a favore. L'ho assalito con la grinta che non sentivo da giorni, l'ho violentemente preso e fatto mio, ho preteso che mi ascoltasse, che mi raccontasse, che mi facesse capire che c'era, il Natale, anche per me. L' ho trovato su in collina, tra gli alberi divelti, il fondo inzuppato dalla pioggia, sulle cime imbiancate, nel rumore dei miei piedi sull'asfalto. L'ho trovato e ne ho goduto; era solo mio, l'ho messo nel taschino come in genere il miele. Era lui a dovermi dare energia. Era solo mio, parlava solo con me, per il mondo era già passato, quel mondo che era impegnato a preparare il prossimo pranzo, ad azionare la prossima giostra, nuovogironuovacorsa. Era stanco del trambusto,il Natale, come me. Era nauseato dal cibo, come me. Era pieno di domande, come me. Era ansioso di correre, come me. Era silenzioso, come me. Scusate il ritardo, ma oggi è Natale anche per me.

martedì 22 novembre 2011

SerenaMente

Si, serena. In contrasto con l'aria grigia ed uggiosa di un consueto martedi di fine novembre, la mia mente si apre al giorno con una strana luce. Le piace il silenzio della casa sveglia per metà, il tiggì quasi muto per non disturbare, preparare la colazione, programmare la giornata o meglio immaginare come sarà. Mi sorprende tale calma interiore dopo l'ennesima notte trascorsa a parlare con i pensieri, ad elemosinare un'ora di sonno ininterrotta. E' il presagio ad un nuovo giorno, mi dico. A mezz'ora dal risveglio le gambe cominciano a scalpitare, a chiedere di uscire, come due cagnolini scodinzolanti fanno con un assonnato e pigro padrone. Fuori piove ma sono fiduciose che presto smetterà. Sorseggio tranquilla il mio esterofilo american coffee rielggendo una di quelle pagine di giornale che mi hanno lasciata incredula e senza parole in un fine settimana denso di spiacevoli avvenimenti, uno di quelli in cui ti rendi conto che il marcio è ovunque, più vicino di quanto pensi, e che non puoi ignorarlo. Un insistente beebeep mi ricorda che il bucato gradirebbe esser steso ad asciugare. Comincia ad albeggiare e senza pensarci vesto i panni di ogni mattina, li scelgo leggeri, T-shirt, k-way e calzonicini, voglio sentire la pioggia sulla pelle. SerenaMente muovo i primi passi, rilassati, leggeri, lo scricchiolio del ginocchio sinistro è l'unico elemento di disturbo. Esco con i suoi occhi negli occhi, quegli occhi che è cosi strano vedere aperti a quest'ora! Sento solo il fiato caldo, il rumore delle gocce di pioggia ed i passi sull'asfalto scivoloso. Eppure mi sembra di sentire tutto ciò che c'è da sentire. Batto un percorso cittadino, pensando che i balconi e qualche androne mi avrebbero fatto comodo in caso di temporale. Mi arresto a malincuore allo scadere dei 45', vorrei non sentire il fischio dell'arbitro, fine primo tempo, tutti a prendere un tè caldo direbbe qualcuno alla tv. Non mi aspetto di trovare un allenatore ad incitarmi, nè un massaggiatore ad alleviare le fatiche di questa prima frazione di gioco al rientro negli spogliatoi. Mi basta il suo abbraccio, un sorriso ed una doccia calda per riscendere in campo e andare in pressing, alto, asfissiante a sterminare l'avversario. Chiuderlo nella sua metà campo, senza lasciarlo venir fuori, almeno per questa ripresa, per questo giorno a cui voglio sorridere con le gambe, il cuore e la mente. ForteMente, VeraMente, CostanteMente, SinceraMente, SerenaMente.

sabato 19 novembre 2011

Un eloquente attimo di eterno

Quanta vita è passata dall'ultimo post. Quanta. Tanta. Migliaia di km nelle gambe, nei polmoni, sotto i piedi, nelle scarpe nuove che si fanno vecchie in un baleno. Quanti sogni infranti, traguardi sfiorati, delusioni incassate, dolci scoperte, amici persi e ritrovati. La prima maratona vinta per caso, il record personale sulla mezza distanza. I primi giorni senza forza motrice, quella che dalla testa va dritta alle gambe. Quanti libri iniziati e lasciati a metà. Pochi letti e stipati nel cassetto dell'anima. Quanti viaggi su e giù per l'Italia, passati a pensare, a volte a piangere, altre a sorridere senza un perchè. Quanta bella famiglia, quanta cara solitudine. Una solitudine che cerco troppo spesso, che sembra non mia eppure lo è. Quanta solitudine che mi fa schiva, sfuggente, che a giorni mi spegne lo sguardo ma che a volte mi accende il sorriso. Quanto lavoro, quanta passione messa lì senza un perchè. Quanti nuovi sguardi che mi sembra di conoscere da sempre, e quanti vecchi che mi pare di non riconoscere. Quanti puntini sospensivi, domande inevase, risposte inattese. Pochi giorni iniziati da fermo, tanti messi in moto dalla mia corsa in ogni dove. Corsa che non si preoccupa di tempo e spazio. Corsa che si crogiola nell'affanno e rallenta, corsa che si esalta per i momenti di forma e allora si infiamma di autentico ardore. Vorrei contare i pensieri, provare a srotolarli e rovesciarli su un pavimento di marmo bianco. Freddo, fermo ed immobile...che mi aiutasse a mettere ordine. Vorrei guardarmi dentro e vedere oltre la coltre di nebbia. Vorrei uscire, adesso, e urlare alla vita per chiederle dovecazzovai. Machicazzosei, chedirittohai. Chiederle da dove tira fuori certe novità, senza chiedere permesso. Chiederle perchè vuole sempre averla vinta. Chiederle perchè, nonsostante tutto, sia il mio unico grande amore. E dirle anche che quello che ne è stato di lei in questo lungo silenzio non è altro che un eloquente attimo di eterno. Trascorso correndo. Trascorso vivendo.